Finì l’acqua. E il carburante. E il grano.
C’era un gran bisogno di distrazione. E di colpevoli.
Gli ebrei per primi.
Terminati gli ebrei,
in qualche minuto di violenza,
si accorsero che l’emergenza parcheggi
non era cambiata di una virgola.
L’escalation continuò coi froci ,
anche quelli non risolutivi per il rincaro affitti.
Grattandosi la testa in una parentesi bianca della brutalità,
cercarono altre arterie, altri estuari, altri nemici.
c’erano ancora i kurdi gli uzbeki e i cattolici di Teheran,
c’erano i monaci tibetani, i fumatori di oppio, i pattinatori di praga
c’erano le femministe schedate dai servizi segreti, (sì, i servizi segreti si erano sprecati a creare un archivio)
i soliti liberi pensatori
i soliti adolescenti cambiatori
i soliti bambini da sbandierare,vivi, morti, nudi,
i bambini piede di porco delle coscienze, da lanciarsi come
palle da bowling
come accuse gli uni verso gli altri.
Il tifo e il colera infuriavano, per la mancanza d’acqua,
e a quel punto si cercarono gli untori dell’epidemia
con le mazze, con le torce, con le corde.
Ognuno si riteneva nord di un qualche sud,
ognuno aveva un suo nemico, una sua guerra e un suo incendio
di cui rivendicare e strapparsi i capelli in fotografia
il web fu un ginepraio di linciaggi
Babele crollava in un fragore astruso.
Mi ritenni fortunata, visto che ero il sud di troppi nord per assistere anche alla
fine della comunicazione
l’ultima risorsa a finire.
Quando l’ultima parola, come l’ultima goccia d’acqua,
venne pronunciata,
inutilmente,
per lasciar spazio agli urli gutturali di paura e minaccia,
ero già cenere da un pezzo.
Perché sono una donna fortunata, io.