Lo so, forse questa mia propensione al bacio è adolescenziale. E’ andata più o meno così:
Non che non avessi mai baciato, prima che Lena mi baciasse. Li vivevo come un dazio obbligatorio per l’affetto, umidi, inquietanti, i baci. I due ragazzini che avevo baciato sembrava volessero soffocarmi, avevano un sapore acido e mentre mi esploravano la bocca pensavo agli accordi di la mia banda suona il rock e di un giorno credi oppure a quando l’avrei detto a Aicha – che bella che era.. – : questa era proprio una cosa da raccontare a lei. In attesa che finissero la laringoscopia, mi allineavo sul respiro. Mi pareva ansimassero apposta. Allora anch’io.
Poi arrivò Lena. Coi suoi baci-non baci, che non toccavano le labbra e non entravano in me. Io ero una terra che si imbeveva del suo sfioramento fino all’orgasmo. Dicevo: il sesso è brutto, i baci di Lena sono onde impreviste e meravigliose. Poi ci avventurammo nel contatto delle labbra. Lena bacia da dio, che si sappia. E mi insegnava la teoria del gesto con l’intenzione, l’elettricità della volontà condivisa, parlava mentre si avvicinava, nanometro dopo nanometro, senza arrivare mai alle mie labbra. Io, immobile, ammanettata alla mia storia di costrizione, aspettavo che l’aria smettesse di dividerci, con la mente vuota di pensieri o piena di tremore, non so. Lei arrivava e si fermava sul bordo del primo strato di cellule, sfiorando avanti e indietro la superficie mentre il dentro urlava di desiderio, si appoggiava con più forza, era come se le labbra si fondessero in una spirale e mi girava la testa e eravamo tutte lì in quel punto e ogni tanto toccava con la punta della lingua la mia lingua, era come sentire l’odore di una bistecca e non poterla mangiare e non volersi spostare dal filo di fumo che emana e avere i succhi gastrici che corrodono le pareti dello stomaco e una fantasia pressante di masticarla, in un’escalation di voluttà e negazione e violenza e dolore e tenerezza e confusione.
Una volta i miei erano partiti, mia sorella era fuori. Io e lei dormivamo nel letto matrimoniale. Passammo la notte a baciarci soltanto, addormentandoci ogni tanto con le labbra tra le labbra.
Dopo venne Teresa. Sì, baciare baciava, ma in realtà non si soffermava, nella sua ansia predatoria: mi parlava e voleva che io parlassi. Io cercavo il suo viso per baciarle gli occhi, il collo, le labbra, le parlavo addosso e quelli erano i miei baci, parlavo mentre le passavo addosso con la bocca e non so se la beassero di più le fantasie che creavo per lei, il timbro della voce, o le labbra. Una volta però mi baciò, me lo ricordo benissimo, invece di frugarmi e pretendermi. Erano le cinque del mattino. Noi dormivamo nella segreteria di uno studio medico che apriva alle otto del mattino, Teresa apriva la porta ai pazienti. Ci mettevamo la sveglia alle cinque per far l’amore prima dell’arrivo del dottore. Al suono della sveglia si attivava anche il metrò. Una fervida attività viscerale si smuoveva come una peristalsi della terra e di noi. Io quella mattina ero un po’ intontita dal vino della sera prima e lo stato non era proprio di veglia. Lei invece era sveglia, mi avvolgeva tutta, era morbida e silenziosa, mi baciava in bocca. Io sentii il piacere salire e innescarsi automaticamente e sospirai ‘lena…’ lei si bloccò: ‘che hai detto?!’ improvvisamente sveglia io fui colpevole di amore inconscio e piacere sospetto. Non sapevo che dire e la girai sotto di me: ‘dormivo dormivo dormivo, teresa teresa teresa teresa teresa teresa…’ e ci baciammo fino alle otto, ben lontane dall’abbandono
Quando, dopo 12 anni di matrimonio con la chirurga, arrivò Marisa, tutto cambiò. Aveva la lingua rasposa, molto diversa da quella di mia moglie. Dopo 12 anni di baci con quella bocca di cui avevo la combinazione, improvvisamente questa fiamma mi infuocava e il baciarsi non aveva più lo stesso significato. Chiuse la porta dietro le sue spalle e mi tirò a sé dicendo: che desiderio, che desiderio, che desiderio, e mentre lo diceva si avvicinava lentamente e lentamente muoveva quella lingua estranea dentro di me. La sua potenza mi svuotava, mi annichiliva, sentivo come un pugno nel dentro del piacere, non avevo nessun pensiero: ero l’atto di baciarla, come cadere da molto in alto, come se la testa stesse per esplodere, e lei che teneva, teneva l’intensità e allargava e apriva e entrava e usciva e eravamo ancora sulla porta di casa, un sabato senza figli.
Poi smetteva di baciarmi. Era coitale, inginocchiata in mezzo alle mie gambe, mi metteva a testa in giù per bermi con comodità o per sodomizzarmi meglio, era più alta e più grande di me. Mi guardava godere con gli occhi spalancati dalla voluttà di ottenere ogni volta di più. Volevo che mi baciasse: con un bacio sarei venuta subito, ma lei non voleva che io finissi. Era come stare sul bordo di un precipizio, era come dondolare oltre l’orlo del precipizio, era andare con un elastico su e giù nel precipizio e non schiantarsi mai.
Mai ho sentito l’ingombro dei miei genitali come quando Marisa mi baciava, occupavano tutto il bacino, pulsavano per uscire, si nascondevano come grattacieli strazianti dentro di me. Ma lei non baciava molto.
Non era proprio il caso di stare con Yael. Sposata, due figli piccoli, collegata a metà delle persone che conoscevo. Un invischio inaccettabile. Abbiamo parlato per due settimane: io masada, lei l’esercito romano sotto le mura. La sai la storia di Masada? I romani sono arrivati lì sotto, dopo aver sbaragliato l’intera giudea e tutti i territori attorno, convinti di fare una cosa in giornata. Masada è una città arroccata su una montagna cava, tra Gerusalemme e Sodoma. E i suoi abitanti si chiamavano Zeloti. Fanatici, che mai e poi mai sarebbero caduti schiavi dei romani. Non c’era scelta, quando una città veniva espugnata: quasi tutti gli uomini a fil di spada, donne e bambini schiavi. Ma gli abitanti di Masada fecero un’assemblea, durante la quale decisero di resistere. Mesi di assedio. I romani sfiancati. Da sotto si può parlare con chi sta sulla cima: acustica. L’accampamento esauriva le risorse e le scorte d’acqua, i masadesi avevano una cisterna nella cavità della montagna. Tutti i giorni i romani cercavano di far capitolare gli zeloti. E loro niente. Poi le scorte d’acqua si esaurirono anche per gli zeloti. Ma pur di non cadere schiavi, fecero un’altra assemblea e decisero che uno di loro avrebbe ucciso tutti e poi lui si sarebbe suicidato (il suicidio è più grave dell’omicidio nell’ebraismo). Quelli che non volevano, potevano andare dai romani e raccontare la storia. Ebbene. Lei mi assediava e io resistevo. Parlavamo sulla panchina sotto casa mia. Lei ogni tanto metteva la testa sulla mia spalla e diceva: ma perché non possiamo?
Poi a un certo punto io volevo tornare a casa, la stavo salutando mentre aprivo il portone. Lei mi ha spinto dentro strattonandomi per la camicia. Io pensavo: meglio di no, meglio di no, meglio di no. E intanto non mi ribellavo. Mi ha tirata verso l’ascensore. ‘ora basta, hai capito?’ mi ha detto. ‘apri questa porta, apri, cazzo’ ma non era aggressiva, mi sospirava addosso il fumo rovente dell’inferno, mi implorava. Arrivati al sesto piano, si vedeva che io volevo fermare questa cosa. Tenevo le chiavi in mano e lei quasi strappandomi la camicia: ‘avanti, non me ne vado, apri. Ora! non me ne vado, lo capisci?!’ E intanto mi stava addosso e intorno come se, anche se ancora nulla era successo, ma era proprio come se già. Ho aperto la cazzo di porta e lei mi ha spogliato con una perizia da madre e moglie, veloce sapendo farlo efficace e sorprendente. Mi ha tirata su di sé sul divano e io ho cercato ancora di frenare, sono stata a un centimetro, meno di un centimetro dalle sue labbra per un sacco di secondi, secoli di secondi, e avevo il fiatone dalla fatica e dall’angoscia e dalla paura e dal desiderio. Poi l’ho baciata. yael baciava meravigliosamente. Baciava come una dichiarazione, baciava come una penetrazione, baciava come un’esplorazione, baciava come una conoscenza carnale e come un gioco e come una provocazione e come uno stupro e come un’inseminazione. Madre santa e benedetta, come baciava yael, non so dirlo. Non si rendeva nemmeno conto di che potenziale c’era nel suo modo di baciare: il nostro piacere era tutto lì. Metteva le mani dentro di me a prendere espugnare e tatuare, non capiva la sintesi dei baci, l’ermetismo che mi avrebbe fatto squirtare dei suoi baci.
Sì, sono adolescenziale: l’incontro vero è quello tra le bocche.