Evito. Mi sembra ogni volta la miglior soluzione.
Credendo nella parte in luce e scotomizzando quella in ombra.
Evito l’escalation, la simmetria, il confronto diretto,
Smino il campo con la mia danza di passi indietro
E impercettibili millimetri in avanti.
Non è spavento,
è la biblica arte femminile
del rimandare e accantonare
se stesse.
È la poesia
che è un togliere, un tacere, un evocare tramite la pausa.
È l’agguato,
la trappola che non fronteggia,
ma ti aspetta mimetizzata da fogliame, da normalità.
Ce la faccio.
Sono capsulata come una spora che si nutre di niente.
È difficile assetarmi,
farmi patire una mancanza,
esiliarmi:
abito la mia mente,
non ho altro bagaglio che me stessa.
Mi sono allenata per cinque decadi,
a non meritare l’affetto,
e ora sono pronta.
È tutto qui.
Càvatela da sola.
Se non ti meriti l’affetto –
ecco l’ombra che allunga la sua mano –
non osi la parità della collaborazione,
non sei capace di partnership,
non sai allearti.
Evito.
Non aspettandomi la tua stima
Non chiedendo aiuto
Non confidando nel sostegno altrui
Con i risultati che può ottenere
una, per quanto brava,
da sola.
Questo riflesso automatico di salvezza,
questo mio ripiegamento interno
non rivelabile,
mai condiviso,
risparmiato come gli ultimi soldi in una carestia
(carestia d’amore!)
sta abortendo mille figli
sul mio letto di sposa.
Arrivasse prima della morte
lo slancio, quello vero,
di partecipazione,
di ingaggio,
la costruzione di un amore intero!